Home Nonna Radio Gli apparecchi Domestici

 

Dai primi esperimenti di Marconi alla commercializzazione del primo apparecchio radio per uso domestico passarono in tutto non più di 20 anni, caratterizzati, come spesso capita nei periodi di grande sviluppo umano, da una serie di conquiste tecniche tutte destinate a far maturare rapidamente la tecnologia. Nel giro di pochi anni si passò dai grossi trasmettitori a scintilla (onde smorzate) agli alternatori ad alta frequenza (onde persistenti).

 

L’utilizzo dei circuiti accordati permise la trasmissione a diverse lunghezze d’onda, e dunque la coesistenza di trasmissioni radio contemporanee senza interferenze (metodo sintonico).

 

Si sperimentarono diversi tipi di antenna per le varie lunghezze d’onda, passando dalle microonde dei primi esperimenti fino alle onde lunghe della prima trasmissione transatlantica e poi alle onde corte delle reti marconiane a fascio per le comunicazioni con le colonie britanniche e italiane.

 

Si fecero le prime esperienze di modulazione d’ampiezza, e quindi di trasmissione del suono attraverso

le onde radio.

 

I rivelatori, basati sui più diversi principi fisici, subirono una uguale evoluzione, passando dal fragile e incerto coherer dell’800 al rivelatore magnetico di Marconi fino al cristallo di galena ed al diodo a vuoto di Fleming.

 

La grande svolta fu data nel 1914 dall’invenzione del triodo a vuoto (valvola), ad opera di Lee de Forest.

 

 

Forse è questa la data che segna la nascita di una nuova disciplina scientifica: l’elettronica. Col triodo e i suoi derivati fu infatti possibile costruire amplificatori, oscillatori, rivelatori sempre più raffinati e complessi, dando luogo ad una serie di brevetti tutti concentrati nell’arco di pochissimi anni. Qualcosa di simile lo si è potuto sperimentare solo molti anni dopo, con la nascita e lo sviluppo della microelettronica, che ha portato nel giro di poco più di un decennio alla attuale diffusione del computer.

 

Nel 1919 nasceva in Olanda la prima stazione radio europea a diffusione circolare. Si trattava di una trasmittente posta al centro de L’Aia, che trasmetteva regolarmente concerti di musica classica. I Dutch Concerts, come vennero battezzati, venivano ricevuti persino in Inghilterra e in Germania e costituirono per un certo tempo un’attrazione nei salotti e nei circoli ricreativi, contribuendo a diffondere un crescente entusiasmo per la radiofonia.

 

 

L’idea, forse altrettanto rivoluzionaria di quella marconiana della radiotelegrafia, era quella di fornire un servizio di puro intrattenimento destinato ad utenti privati sparsi su un territorio più o meno esteso.

 

Venne coniato il termine broadcasting per definire questo tipo di trasmissione. Per inciso, va anche ricordato che il proprietario della stazione radio, l’olandese Idzerda, avviò l’impresa con fini strettamente commerciali, facendo precedere e seguire i concerti da una serie di comunicati pubblicitari riguardanti componenti radio elettronici di una ditta olandese in seguito diventata leader europea, la Philips.

Ma come veniva effettuato l’ascolto radio in quell’epoca pionieristica? Certamente non con apparecchi simili a quelli che si diffusero in seguito. Tanto per iniziare, l’ascolto avveniva esclusivamente in cuffia, e l’apparato di ricezione era spesso un rudimentale sistema autocostruito, con rivelatore a cristallo di galena o di carborundum e con l’aspetto di un intrico di fili e manopole montati su una tavoletta di legno.

 

L’industria non aveva ancora fiutato il mondo di affari che si sarebbe dischiuso di lì a breve.

 

Dopo l’esperienza olandese avvenne il boom: ogni nazione tecnologicamente evoluta cominciò nel giro di pochissimi anni ad avviare un servizio stabile di radiodiffusione. Prima del 1924 quasi tutti gli Stati d’Europa e dell’America settentrionale erano già dotati di potenti stazioni broadcast per il servizio interno ed estero. Nacquero la BBC inglese, la ABC e la RKO americane, ed in Italia, con un po’ di ritardo nacquero le prime reti private, diventate in seguito URI (Unione Radioindustrie Italiane) e infine la statale EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche). Già allora fu necessario riunire commissioni internazionali per regolamentare l’utilizzo delle bande di frequenza, prossime alla saturazione a causa del sovraffollamento degli spazi che la tecnologia di allora metteva a disposizione.

 

E sul fronte dei ricevitori nascevano le grandi case, destinate a produrre per alcuni decenni gli apparecchi radio domestici. Allocchio Bacchini, Irradio, Philips, Telefunken e tanti altri marchi divenuti in seguito prestigiosi, e altri ancora destinati a scomparire nel giro di pochi anni, iniziarono la produzione di apparecchi riceventi domestici più o meno semplici, più o meno costosi. Il tipico apparecchio radio degli anni 20 aveva grosso modo l’aspetto di una cassetta di legno con alcune manopole graduate ed alcune valvole montate all'esterno.

 

Ugualmente esterna era l’antenna del tipo a telaio e l’altoparlante (altisonante), generalmente a tromba come quelli dei grammofoni. L’elemento attivo era una membrana che vibrava in un campo magnetico, un po’ come sono oggi gli auricolari dei telefoni. La tromba serviva per convogliare e far risaltare il suono, che comunque risultava stridente e distorto.

 

 

 Un’altra foggia molto in uso era quella del cosiddetto piatto da barbiere, costituito da un cono rigido molto schiacciato, azionato da un magnete tramite un ago (altoparlanti a spillo). Anche in questo caso l’efficienza era bassa e la distorsione elevata. In compenso l’estetica era spesso raffinatissima. In quegli anni la rete di distribuzione elettrica era ben lungi dall’essere completata, ed inoltre le compagnie elettriche fornivano le tensioni più disparate, continue o alternate. Questo fatto costituiva senz’altro un problema per i costruttori di apparecchi radio, i quali adottarono per la maggior parte la soluzione di alimentare a batterie i loro apparati.

 

Dunque un altro elemento esterno all’apparecchio radio era la cassa delle batterie, che veniva in genere ospitata in salotto sotto il tavolino della radio, dissimulata dietro una cortina o dentro appositi armadietti. Occorrevano tre diversi tipi di batterie: una a bassa tensione per accendere i filamenti delle valvole; una ad alta tensione positiva per fornire la tensione anodica, ed una terza a tensione negativa per polarizzare le griglie dei triodi. Facile immaginare i problemi di sostituzione, i versamenti di acido sui tappeti del salotto e la confusione derivante dalla serie di collegamenti da effettuare prima di poter ascoltare la trasmissione preferita.

 

Una volta accesa, poi la radio andava sintonizzata. Il padrone di casa ruotava lentamente tutte le manopole fino ad ottenere una buona riproduzione sonora, cercando di ri- durre interferenze e fischi, poi posizionava l’antenna per il massimo segnale, ed infine la famiglia con gli amici poteva dedicarsi all’ascolto del programma, in perfetto silenzio data la scarsa potenza d’uscita dell’apparato (0,2W).

 

 

Questi apparecchi erano spesso semplici e con poche valvole, dato che queste erano ancora estremamente costose. Si utilizzavano circuiti ad alto rendimento (apparecchi a reazione o reflex) che però erano difficili da sintonizzare con cura. Negli apparecchi più costosi (con molte valvole) si usava il metodo della amplificazione diretta, ossia tanti amplificatori tutti sintonizzati indipendentemente sulla stessa stazione. Anche in questo caso la sintonia era un’operazione piuttosto ardua, da fare manovrando diverse manopole graduate i cui effetti potevano anche annullarsi reciprocamente o dare luogo ad interferenze ed oscillazioni.

 

Fortunatamente questo periodo non durò molto a lungo: già nei primi anni ’20 prendeva piede per poi affermarsi in tutto il mondo il circuito a conversione di frequenza, che prese poi universalmente il nome di supereterodina. Il sistema supereterodina viene utilizzato ancora oggi in qualunque ricevitore radio, televisivo o altro, inclusi i telefoni cellulari ed i sistemi satellitari; esso fu messo a punto e brevettato dall’americano E.W. Armstrong nel 1918, ed in seguito commercializzato dalla RCA in esclusiva. Ogni costruttore che voleva utilizzare il brevetto di Armstrong doveva pagare una quota alla RCA per la licenza d’uso, pari al 7% del costo finale dell’apparecchio, ed inoltre doveva utilizzare esclusivamente valvole RCA.

 

 

 

Questo regime di monopolio provocò un rallentamento della diffusione del metodo, dal momento che molte case costruttrici non si assoggettavano volentieri a pagare la licenza, e manteneva elevatissimo il prezzo degli apparecchi. Un modo simpatico per aggirare il problema venne escogitato da alcune case che scoprirono di non dover pagare la licenza RCA se avessero venduto non apparecchi radio completi, ma kit di montaggio degli stessi apparecchi.

 

Questo fatto spiega l’enorme popolarità che ebbero in America le radio in scatola di montaggio, spesso vendute per posta a prezzi decisamente molto più accessibili. In molti casi si trattava di apparecchi quasi completi, in cui bastava collegare due fili ed inserire le valvole negli zoccoli per terminare il montaggio.

 

Dopo il 1930 una sentenza della commissione antitrust del Congresso americano, già attiva fin da allora liberò la diffusione del sistema, che si impose in tutto il mondo. Senza scendere in dettagli tecnici, i principali vantaggi del circuito supereterodina sono i seguenti:

 

  • Una sola manopola per la sintonia;

  • Nessun pericolo di inneschi interni al ricevitore, con conseguenti fischi o crepitii;

  • Sensibilità e selettività costanti su tutta la gamma;

  • Stabilità di ricezione;

  • Facile messa a punto (allineamento).

 

Dunque, per riassumere quanto detto finora, potremmo dividere la storia degli apparecchi radio domestici in tre periodi storici distinti anche se parzialmente sovrapposti:

  1. Apparecchi sperimentali senza valvole (1910-1920);

  2. Apparecchi commerciali a valvole del primo periodo (1920-1925);

  3. Apparecchi supereterodina (1925-oggi).

 

 

Probabilmente uno dei motivi che rendono tanto entusiasmante la collezione di vecchi apparecchi radio consiste nel valore estetico che questi oggetti seppero assumere nella loro storia. Nell’epoca d’oro la radio era un oggetto decisamente costoso (spesso il più costoso che si metteva in casa), e dunque doveva essere caratterizzato anche da un’estetica pregevole, che in qualche modo contribuisse a giustificare il prezzo d’acquisto.

 

Inoltre la radio ebbe la fortuna di svilupparsi in un periodo di rapida evoluzione del gusto, passando nel giro di pochi anni dal classico al barocco, al Liberty, all’Art Nouveau, al neoclassico e così via. Questo fatto permette spesso di datare un apparecchio radio con una discreta approssimazione con una semplice occhiata.

 

Abbiamo visto come si presentava un apparecchio radio domestico negli anni ’20: una scatola di legno pregiato con manopole, valvole e bobine bene in vista, antenna e altoparlante esterni. Nell’ultimo periodo le valvole vennero alloggiate all’interno della scatola, e finalmente, intorno al 1928, si cominciò ad abbandonare l’uso delle batterie. Altre due innovazioni importanti per la loro ripercussione sull’estetica della radio furono la diffusione del sistema supereterodina e l’invenzione dell’altoparlante a bobina mobile.

 

Quest’ultimo, abbandonata la forma di tromba più o meno ripiegata, divenne quello che conosciamo oggi: un cono di carta leggerissima inserito in un telaio metallico di facile montaggio all’interno del mobile. Il suono divenne più caldo e potente e le dimensioni generali dell’apparecchio radio cominciarono a diventare più compatte.

 

D’altra parte il sistema supereterodina rendeva possibile la sintonia mediante una sola manopola, e finalmente la scala graduata poteva venire tarata in fabbrica in termini di lunghezza d’onda, ed in seguito (1935) direttamente con le indicazioni dei nomi delle stazioni trasmittenti (scala parlante).

 

Insomma, agli inizi degli anni ’30 gli elementi c’erano ormai tutti, per avviare la produzione commerciale di apparecchi radio compatti, eleganti e tecnicamente perfetti. Ed il mercato era in evoluzione esponenziale, non certo nei paesi poveri o in via di sviluppo, come era allora l’Italia, ma sicuramente in Francia, Gran Bretagna e Germania, per non parlare degli Stati Uniti. L’industria continuava a sfornare modelli diversificati: il grande multigamma da salotto veniva spesso affiancato dal piccolo ricevitore da mettere in cucina per lo svago della massaia e per l’ascolto dei notiziari durante il pranzo.

 

 

 

Le scatolette di bakelite bollente divennero presto un elemento insostituibile nel costume della famiglia a cavallo tra le due guerre. Anche in questo caso non è difficile catalogare le fogge in alcune tipologie facilmente riconoscibili.

Queste sono:

1. L’apparecchio a consolle, in legno pregiato da mettere in salotto;

2. Il soprammobile in legno, spesso a forma di cattedrale o di parallelepipedo verticale;

3. Il mignon, piccolo apparecchio di legno o bakelite adatto per la cucina o la camera daletto.

 

La radio, insomma, come fu in seguito l’automobile: da oggetto d’uso a oggetto di sogno. In Italia questo sviluppo avvenne principalmente durante il ventennio del regime fascista. E quindi la radio assunse anche i connotati di oggetto di propaganda, sia nell’aspetto che nella tipologia delle trasmissioni. Poiché la diffusione degli apparecchi stentava a decollare, gli anni ’30 furono spesi dal regime per incoraggiare, promuovere e sensibilizzare la popolazione rurale sulla nuova tecnologia.

 

Gi italiani vennero allettati con concorsi fotografici, raduni nazionali, sconti e quant’altro poteva servire ad invogliare all’acquisto. Venne commissionato alle grandi industrie un modello unificato standard da vendersi in regime di prezzo controllato: la famosissima Radiorurale, per la progettazione e la commercializzazione della quale venne costituito un ente ad hoc (l’Ente Radiorurale).

 

Un altro modello, RadioBalilla, venne associato all’infanzia ed alla giovinezza per la sua economia e facilità d’uso (“lo può usare anche un bambino”). Questi tentativi non suscitarono l’effetto travolgente che ci si aspettava, data la povertà e l’ignoranza della popolazione delle campagne, che aveva ben altri problemi da affrontare in quel periodo.

 

Tuttavia servirono almeno a dare un po’ di sviluppo all’industria radio italiana mediante sovvenzioni statali e premi di rendimento. Nel frattempo l’evoluzione continuava, tanto all’interno quanto all’esterno dei ricevitori.

 

Durante gli anni ’30, col crescere del numero delle stazioni ricevibili, anche la scala parlante crebbe di dimensioni per ospitare tutti i nomi delle varie città del mondo che era possibile ricevere sulle varie gamme d’onda. A proposito di queste ultime, proprio in quegli anni si svilupparono i circuiti più complessi adatti alla ricezione di svariate gamme di onde lunghe, medie, corte e cortissime, ed insorse l’hobby di dedicarsi alla ricerca e all’ascolto di stazioni sempre più deboli e lontane, con l’ausilio di antenne lunghissime stese tra palazzi e alberi.

 

In questo modo si diffuse anche una certa conoscenza pratica di trucchi e rimedi che entrò a far parte del senso comune, e costituì una preziosa risorsa sociale ai tempi della seconda guerra mondiale. Il legno ha certamente avuto la parte predominante nella la realizzazione dei mobili degli apparecchi radio. La tradizione è molto antica, in quanto da sempre la costruzione delle apparecchiature scientifiche era basata sulla fabbricazione di strutture di sostegno e di abbellimento realizzate finemente in legni pregiati con intarsi, sculture ed altre piccole opere di pregio. E i primi ricevitori degli anni ’20, in legno lucido e ottone avevano certamente l’aspetto di apparecchiature scientifiche, piuttosto che di oggetti di arredamento.

 

In seguito, quando si arrivò ad una forma meglio definita, i preziosismi di fine ebanisteria vennero pian piano abbandonati a favore di realizzazioni, sempre in bel legno, ma di fattura più industriale.

 

Il tipico apparecchio da salotto era un mobile sobrio impiallacciato di noce o mogano, con inserti d’ebano o radica, lucidato a spirito (gommalacca e tampone). Il modello verticale (altoparlante sopra e manopole con indicatori sotto), lasciò lentamente il posto al modello orizzontale, più adatto ad ospitare una ampia scala parlante.

 

Tra i materiali presero piede a poco a poco le prime materie plastiche, e soprattutto le resine fenoliche, tra le quali la più adatta risultò essere la bakelite. La ricerca di nuovi materiali per la realizzazione degli oggetti di uso domestico era molto attiva negli anni ’30, e la radio non si poté sottrarre alla sperimentazione di tutti i materiali plastici che via via venivano messi in commercio spesso con nomi di fantasia. Molti risultarono inadatti in quanto attaccabili da solventi, dai grassi e dai normali agenti atmosferici, o dalle alte temperature che tendevano a deformare i mobili.

 

La bakelite si impose come principale materiale plastico per tutta l’industria radiotecnica e per l’elettronica in generale, grazie alle caratteristiche di inalterabilità estetica e meccanica. Inoltre si prestava alla realizzazione di fogge estremamente gradevoli ed accattivanti, per cui in breve passò da surrogato del legno, del quale imitava anche colore e venature, a materiale di per sé pregiato e ricco, da non confondersi con tutte le imitazioni che vennero in seguito, spesso realizzate con materie termolabili di valore assai inferiore (la “plastica”).

 

Prima della seconda guerra mondiale la radio aveva dunque sviluppato gran parte delle sue potenzialità tecniche ed estetiche, ed era diventato un oggetto d’uso domestico, ancora molto costoso ma decisamente maturo e alla portata delle famiglie italiane di medio reddito.

 

La crisi economica, industriale e produttiva che accompagnò la seconda guerra mondiale, causò senza dubbio un notevole regresso anche nello sviluppo della radiofonia, che era certamente da considerare tra i generi di lusso. Basti pensare, a questo proposito, che l’inizio di trasmissioni regolari televisive, per le quali la tecnologia era già matura nel 1937, avvenne in Italia quasi 20 anni dopo, principalmente a causa dello stop bellico.

 

Di conseguenza, dopo la guerra la produzione di apparecchi radio riprese dai modelli più economici di prima della guerra, e per alcuni anni si diffusero apparecchi di fattura essenziale (scatole con due manopole e altoparlante) e basate su una tecnica a sua volta essenziale e ben collaudata.

 

Questo almeno fu ciò che capitava in Europa, specie nei Paesi più provati dal conflitto. In America, invece, la tecnologia avanzava in tutti i campi, e già alla fine degli anni ’40 le trasmissioni a modulazione di frequenza venivano ricevute su tutto il territorio, e si facevano progressi nel campo della stereofonia e dell’alta fedeltà.

 

La tecnica della trasmissione a modulazione di frequenza (FM) si basa su un principio già noto fin dagli anni ’20: la possibilità di associare l’informazione audio al segnale radio attraverso variazioni di frequenza della portante, anziché della sua ampiezza (trasmissioni AM).

 

Le trasmissioni FM hanno alcuni grandi vantaggi su quelle in AM, ma hanno anche qualche svantaggio. I vantaggi sono la maggiore insensibilità ai disturbi elettrici e la possibilità di allargare la banda trasmessa (alta fedeltà).

 

Il principale svantaggio deriva dal tipo di frequenza usata in trasmissione (onde ultracorte), che si propaga solo a distanza ottica, ossia non segue la curvatura della Terra e non supera ostacoli massicci (montagne, palazzi ecc.), per cui è adatta solo per trasmissioni locali, un po’ come la trasmissione televisiva. La diffusione delle trasmissioni a modulazione di frequenza in Italia fu completata solo a metà degli anni ’60, e in ogni caso non soppiantò mai completamente le altre tecniche a modulazione di ampiezza, adatte per coprire territori molto più vasti (onde medie) in campo nazionale, o addirittura per distanze intercontinentali (onde corte e cortissime).

 

Questa breve disquisizione tecnica serve ad inquadrare quello che è stato lo sviluppo della radiofonia nel ventennio che va dal 1945 al 1965, prima che i ricevitori a valvole venissero gradualmente ma inesorabilmente sostituiti dalle piccole, economiche e robuste radio a transistor.

 

Dunque, subito dopo la guerra la radio assume finalmente il suo ruolo definitivo nella casa: un fornitore di servizi essenziali (notizie, bollettini meteorologici, segnali orario, cronache sportive) e di intrattenimento (spettacolo, conversazioni, quiz), scandendo e sincronizzando la giornata di milioni di ascoltatori. L’apparecchio cessa di essere oggetto di culto o status symbol per diventare oggetto utilitario modesto ed efficiente: la radio. Si realizza con dieci anni di ritardo quello che il regime fascista aveva provato a fare con la radiorurale e le altre iniziative propagandistiche.

 

L’industria si consorzia in associazioni che hanno lo scopo di mettere a punto una tipologia standard ed economica, basata su schemi ben collaudati con molti pezzi in comune per facilitare la distribuzione dei ricambi. La più famosa di queste associazioni in Italia fu la ANIE (Associazione Nazionale Industrie Elettriche), che comprendeva quasi tutti i grossi produttori dell’epoca (Philips, Unda, Telefunken, ecc.).

 

I modelli prodotti con la sigla Radio-ANIE avevano un prezzo di concorrenza rispetto ai modelli di prestigio, ma garantivano estetiche piacevoli e varie, diverse casa per casa, e soprattutto caratteristiche di qualità ed affidabilità perfettamente soddisfacenti per l’utente medio.

 

Accanto a questi modelli per tutti continuò ovviamente la produzione di ricevitori di grande pregio, che però in quegli anni cominciarono a distinguersi per le caratteristiche tecniche più per quelle estetiche: ricevitori AM/FM ad alta potenza d’uscita, con giradischi microsolco automatico, numerosi controlli per l’equalizzazione del suono e così via. In altre parole, dalla radio si passava, quasi senza accorgersene, al complesso HI-FI che comprendeva anche la radio al suo interno.

 

L’ascoltatore diventava sempre più esigente e selettivo, e d’altronde la qualità delle trasmissioni in FM stereo e dei nuovi dischi LP permetteva il raggiungimento di standard qualitativi di gran lunga superiori a quelli ottenibili con le crepitanti ricezioni sulle onde medie e con i fruscianti dischi a 78 giri.

 

 

  

 
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