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Scrivere con la luce

La parola fotografia ha origine da due parole greche: photos e graphia. Letteralmente quindi fotografia significa scrivere (grafia) con la luce (foto).

Ebbe origine dalla convergenza dei risultati ottenuti da numerosi sperimentatori sia nel campo dell'ottica, con lo sviluppo della camera oscura, sia in quello della chimica, con lo studio delle sostanze fotosensibili.

Gli elementi fondamentali

Il procedimento venne messo a punto nella prima metà dell'ottocento; il carteggio fra personaggi emblematici, l'analisi delle cronache, la presentazione dei brevetti, ha permesso di definire date certe e paternità. Nei paesi di lingua inglese l'apparecchio fotografico viene comunemente detto camera, e tale termine viene ormai adottato dai fotografi di tutto il mondo; esso deriva da un principio di fisica: la camera obscura.

Camera Obscura

Una stanza immersa nell'oscurità,in cui si apre un foro circolare, consente di osservare sulla parete opposta l'immagine capovolta del sole

Il termine viene considerato da alcuni una voce dotta, ma è opportuno mantenere la distinzione fra l'antenata dell'apparecchio fotografico e una qualunque stanza priva di illuminazione. Il principio fu intuito da Aristotele osservando un'eclissi solare e fu successivamente descritto dallo scienziato arabo Alhazen, vissuto a cavallo dell'anno Mille: una stanza immersa nell'oscurità, in cui si apriva un foro circolare, consentiva di osservare sulla parete opposta l'immagine capovolta del sole; nei secoli successivi fu menzionata da astronomi e filosofi, tra cui Bacone e l'Arcivescovo di Canterbury, Peckham . Naturalmente essa consente di osservare anche altri oggetti anteposti al foro, purché fortemente illuminati, e se viene ridotta alla dimensione di una scatola, l'immagine può essere vista dall'esterno sostituendo la parete di fondo con uno schermo traslucido, ad esempio un vetro smerigliato o un pezzo di carta semitrasparente. Affinché l'immagine sia nitida il foro deve essere molto piccolo e viene appunto definito stenopeico.

 

 


foto 1
foto 2
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Nello schema l'albero è illuminato dal sole, i raggi vengono riflessi da ogni singolo punto in tutte le direzioni ed ipotizzando un forellino tanto piccolo da lasciar passare solo un raggio di luce fra i tanti riflessi da ogni pumto, si potrà intercattare sullo schermo traslucido un solo raggio per ogni singolo punto: l'immagine è capovolta e speculare. L'immagine appare tanto più nitida quanto più piccolo è il foro,ma ciò la rende sempre meno luminosa; il contrario accade se si allarga il buco poichè ogni punto del reale viene intercettato più volte sul piano del virtuale. La lente permise di aumentare la luminosità senza perdere nitidezza. L'oggetto è il fondamento della fotografia e spiega una cosa lapalissiana che un fotografo non dovrà mai dimenticare anche utilizzando la macchine più raffinate e sofisticate, pena insuccessi o peggio ancora risultati scadenti: un oggetto riflette la luce da cui è colpito ed è fisicamente "questa" luce a scrivere l'immagine.
Il principio della camera oscura, del foro stenopeico, e la sostituzione di questo con un orifizio maggiore provvisto di lente

Nel rinascimento il mondo dell'arte si appropriò dell'oggetto: Leonardo la descrisse nel Codex Atlanticus ma fu Giovan Battista Della Porta nella prima edizione del "Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium" del 1558 a diffonderne la conoscenza suggerendone l'uso ai pittori; Gerolamo Cardano propose di rendere l'immagine più nitida applicando una lente all'orifizio e Daniele Barbaro mise a punto quello che oggi chiamiamo diaframma. Nel '600 matematici ed eruditi tedeschi trasformarono la camera obscura in una scatola dall'aspetto sempre più familiare e nel '700, questo strumento ottico all'epoca curioso e divertente, assunse forme e dimensioni disparate, parte superiore della torre di Castle Hill ad Edimburgo, tascabile, da passeggio o semplicemente da studio. Il Canaletto ne fece ampio uso, ed al museo Correr di Venezia è conservata una camera Obscura che gli appartenne, dotata di obiettivo e schermo in vetro smerigliato.

Tenda oscura trasportabile

Camera obscura trasportabile

Camera obscura da studio


Tenda oscura trasportabile. L'immagine veniva inviata all'interno da uno specchio posto alla sommità della struttura. Un modello simile venne ideato da Kepler nel 1620.

Camera obscura trasportabile, dotata di uno specchio che consente di raddrizzare l'immagine. E' l'antesignana delle moderne reflex. Il box posteriore scorre all'interno di quello con l'obbiettivo, consentendo la messa a fuoco.

Camera obscura da studio.


Sostanze fotosensibili

La luce, in particolare quella solare, produce cambiamenti su molte sostanze, ad esempio la mela posta sul ramo assolato matura prima di un'altra in ombra, e la stessa mela presenta colorazioni diverse in zone con diversa esposizione, la pelle si abbronza, alcune resine induriscono, i capi colorati sbiadiscono. Se fotografia sta per scrittura con la luce (della luce) allora si può lasciare un segno anche sulla buccia di una mela durante la sua maturazione semplicemente interponendo fra sole e frutto un elemento opaco, e ciò sarà fotografia a tutti gli effetti, così come lo è il segno lasciato dal costume sul corpo di un bagnante; sintetizzando ciò che conta è un materiale fotosensibile ed una sorgente luminosa.

Mela 1

mela 2


Gli alogenuri d'argento

 

Sir John Herscel


Sir John Herscel con il berretto.
Immagine di Julia Margaret Cameron (1867).

Fra le sostanze che subiscono alterazioni in presenza di luce, per noi riveste particolare importanza il nitrato d'argento, o meglio alcuni composti chimici derivati, chiamati alogenuri d'argento: il bromuro, il cloruro e lo ioduro. Alcune proprietà di questi sali erano già state notate nel XIII e XVII secolo, ma i primi esperimenti scientifici sul loro annerimento furono pubblicati nella metà del '700 da J. H. Schulze, da Giovanni Battista Beccaria e da J. Senebier. Di grande importanza ai fini della divulgazione fu il trattato "Aeris atque ignis examen chemicum" di K. W. Scheele, avvenuta ad Uppsala nel 1777, testo tradotto l'anno dopo in francese ed in inglese; in particolare Scheele aveva notato la velocità di annerimento del cloruro d'argento in presenza della frangia violetta della luce e che il prodotto annerito risultava insolubile in ammoniaca a differenza di quello che non era stato colpito dalla luce. Un'altra scoperta, a mio avviso determinante quanto la precedente ma a volte trascurata, è quella di sir John Herschel, scienziato poliedrico a cui la fotografia deve molto: una serie di fruttuose ricerche sulla sensibilità alla luce di varie sostanze, i termini negativo-positivo e la scoperta nel 1819 della capacità del tiosolfato di sodio di rendere solubili alcuni sali d'argento. Venti anni dopo egli scoprì che l'iposolfito (come erroneamente viene chiamato dai fotografi), interviene solo su quei sali che non sono anneriti in modo molto più efficace che non l'ammoniaca.

 

 

L'annerimento diretto

Già alla fine del '700 Humphry Davy e Thomas Wedgwood, quest'ultimo figlio di quel Josiah fabbricante di porcellane che aveva dipinto un servizio da tavola per Caterina di Russia utilizzando una camera obscura, tentarono di ottenere delle immagini ponendo sul fondo della magica scatola dei fogli di carta impregnati di nitrato d'argento, ma i loro tentativi fallirono. Wedgwood riuscì invece ad ottenere delle silhouette per contatto: stendeva una soluzione di nitrato d'argento su carta o cuoio chiaro, vi appoggiava sopra degli oggetti opachi o disegni su vetro ed esponeva il tutto al sole; solo le zone colpite dalla luce scurivano, disegnando i contorni. Davy utilizzò il cloruro d'argento, più rapido, ma in entrambi i casi le immagini così ottenute potevano essere osservate solo per brevi periodi con luce debole, poiché anche le parti chiare finivano poi per annerire completamente: i due non avevano letto il trattato di Scheele.

I personaggi

All'inizio dell'ottocento le conoscenze scientifiche che avrebbero dato vita all'invenzione erano dunque disponibili: a quel punto alcuni personaggi poliedrici provenienti da esperienze diverse, ma accomunati dal desiderio di salvare in qualche modo le immagini che si formavano nella camera oscura, riuscirono a mettere a punto una serie di procedimenti fotografici.

La prima fotografia (Niépce)

La prima immagine di Niépce. La lastra di stagno misura 16,5 x 20 cm. ed è stata riscoperta nel 1952 da H. Gernsceim che l'ha datata 1826.
© Gernsheim Collection, Harry Ransom Humanities Research Center, The University of Texas, Austin.

Gli storici hanno documentato due linee di ricerca, quella francese con Joseph Nicéphore Niépce (1765-1833) e Louis Jacques Mandé Daguerre (1787-1851), e l'altra inglese con Henry William Fox Talbot (1800-1877), sebbene nel 1833, in Brasile, Hercule Florance avesse raggiunto risultati analoghi a quelli di Talbot, dei suoi esperimenti non si seppe nulla fino al 1877, quando ormai la fotografia aveva gia compiuto passi da gigante.
Niépce si interessava di litografia, ma non sapendo disegnare aveva pensato a delle sostanze fotosensibili per incidere le lastre; i primi esperimenti del 1816 sui sali d'argento non portarono a nulla di concreto, mentre qualche anno dopo scoprì il potere del bitume di Giudea di indurire con l'esposizione alla luce; egli ricopriva una lastra di peltro con questo tipo di asfalto e dopo avervi appoggiato sopra disegni o incisioni esponeva al sole, quindi asportava le parti non indurite sciogliendole con olio di lavanda e trementina. In seguito trattava le lastre con le tecniche proprie dell'incisione. Chiamò il procedimento eliografia. La sua prima fotografia stabile ottenuta con una camera oscura è datata 1826 ed è una vista della sua tenuta del Gras, presso Chalo^n-sur-Sao^n, scattata da una finestra dell'abitazione; l'esposizione fu di circa otto ore e ciò che ottenne fu un positivo: la trementina, asportando le parti non esposte (le ombre non riflettono luce), fece ricomparire il peltro sottostante, più scuro del bitume di Giudea indurito, che dunque descriveva le parti chiare.
Daguerre era un pittore famoso a Parigi e Londra per il diorama, una sorta di spettacolo in cui le immagini dipinte sulle due facce di uno schermo traslucido, sembravano cambiare a secondo che fossero illuminate di fronte o dal retro. Per dipingere gli schermi del diorama Daguerre aveva utilizzato anche la camera oscura, ma fu proprio nell'anno in cui Niépce ottenne la sua prima immagine che iniziò ad interessarsi di fotografia, probabilmente informato dai fratelli Chevalier dei progressi che si stavano ottenendo nella realizzazione automatica di immagini, anzi furono proprio i noti costruttori di apparecchi ottici a mettere in contatto i due nel 1829. Ne nacque un contratto di collaborazione: i due si sarebbero scambiati i progressi ottenuti, fino ad ottenere qualcosa di sfruttabile commercialmente, con ripartizione dei vantaggi. Nel frattempo Niépce aveva trovato che poteva rendere più scuro il fondo delle sue eliografie sostituendo il peltro con una lastra di rame placcata in argento e sottoposta poi a vapori di iodio (in pratica anneriva la lastra con uno degli alogenuri). Dagherrotipo L'invenzione che rese famoso Daguerre, il dagherrotipo appunto, parte da qui: egli cominciò ad utilizzare lo ioduro d'argento come sostanza fotosensibile al posto del bitume di Giudea; come l'altro esponeva le lastre in una camera oscura, ma sia pur con esposizioni dalla lunghezza estenuante, non riusciva ad ottenere che pallide tracce, per di più evanescenti. Fu il chimico Jean-Baptiste Dumas a metterlo sulla buona strada rivelandogli l'esistenza dell'immagine latente e la possibilità dello sviluppo: la lastra brevemente esposta non presentava alcun segno di annerimento, ma la luce aveva comunque prodotto cambiamenti elettrochimici sugli alogenuri d'argento. La successiva fumigazione con vapori di mercurio generava quegli annerimenti che altrimenti avrebbero richiesto un'esposizione lunghissima. Lo stesso Dumas gli suggerì di fissare l'immagine così ottenuta immergendo la lastra in una soluzione di sale da cucina. I dagherrotipi sono immagini positive o negative, a seconda dell'angolo di riflessione della luce, rendono una sensazione di profondità particolare e sono un prodotto unico su un supporto prezioso, poiché per esigenze di stabilità nacque l'abitudine di virarli in oro; in genere sono di piccole dimensioni e per proteggerli all'epoca venivano messi sotto vetro in un astuccio: il borghese dell'epoca non poteva chiedere di meglio per tramandare la propria immagine (cosa possibile fino a quel momento a potenti o pochi ricchi in grado di pagare un pittore. L'immagine comunque risultava invertita specularmente, a meno che non si fosse usato un artificio ottico al momento dell'esposizione.

William Henry Fox Talbot

William Henry Fox Talbot.
Carte de visite di John Moffat, Edimburgo 1866.

L'annuncio dell'invenzione venne dato dallo scienziato e deputato François Dominique Arago il 7 gennaio 1839 senza soffermarsi sul procedimento, ed ufficialmente nello stesso anno durante la seduta dell'Accademia delle Arti e delle Scienze del 19 agosto. La prima dimostrazione pubblica ebbe luogo a Parigi il 17 novembre; l'inventore rinunciò al brevetto cedendo il procedimento allo stato e la Francia del Secondo Impero ne fece graziosamente dono al mondo. L'operazione rese a Daguerre un vitalizio di 6.000 franchi l'anno mentre ad Isidore Niépce, subentrato nel famoso contratto alla morte del padre, ne toccarono 4.000. Sia le eliografie che i dagherrotipi erano immagini positive, cioè riproducevano correttamente i valori della scena, chiaro ciò che era chiaro e scuro ciò che era scuro; non solo, il risultato finale era fisicamente la stessa lastra posta nella camera oscura, un po' come accade oggi per le diapositive o i materiali Polaroid. Il terzo personaggio, l'inglese Henry Fox Talbot, si trovò invece a seguire il procedimento negativo positivo: in base ad esso vi è un primo momento di acquisizione dell'immagine in cui i valori tonali sono invertiti, ed un secondo in cui i valori vengono recuperati correttamente, chiamato stampa. Talbot, matematico e classicista, fu tra l'altro un grande viaggiatore ed a sette anni calcolò di aver già percorso 2.717 miglia: nel 1833 durante un soggiorno a Bellagio, sul lago di Como, scrisse sul diario di viaggio, a proposito delle vedute che tracciava con l'ausilio della camera lucida (una variante del principio della camera obscura): "..che bello sarebbe riuscire a far in modo che queste immagini si stampassero da se', e durevolmente restassero fissate su carta.." Tornato dal viaggio si mise al lavoro partendo dagli studi di Scheele poiché pare ignorasse sia gli esperimenti di Wedgwood che di parte francese. In un primo momento ottenne dei "disegni fotogenici", praticamente le stesse immagini ottenute quarant'anni prima da Wedgwood, riuscendo però a salvarli in qualche modo con una soluzione di cloruro di sodio; in seguito tentò di utilizzare lo stesso materiale sensibile introducendolo in una camera obscura, ma come descrisse nel libro "The Pencil of Nature" poté registrare solo i contorni di un paesaggio, senza particolari, sebbene l'esposizione fosse stata di circa un'ora.

 

 


Punto di vista

Il primo megativo

"Punto di vista" di Talbot eseguito con la camera lucida a Bellagio.In calce si legge : "View towards Lecco" 6th . Oct. 1883
Il primo negativo di Talbot.
Trustees of the science Museum, Londra.

Negli anni successivi riuscì ad incrementare la sensibilità dei materiali ottenendo dei negativi di vedute della sua residenza di Lacock Abbey. Fu con una di quelle "trappole per topi", come sua moglie definiva le piccole camere oscure che Talbot si era fatto costruire, che riuscì ad ottenere a buon ragione, il primo negativo della storia della fotografia: si trattava della vetrata della biblioteca di Lacock Abbey, dall'interno, ed è corredato di un appunto autografo, dove si legge "Latticed Window (with the Camera Obscura) August 1835 When first made, the squares of glass about 200 in number could be counted, with help of a lens". Fu l'annuncio dell'invenzione di Daguerre a portare nuovo stimolo al suo lavoro, ritenendo che muovendosi celermente avrebbe potuto reclamare in tempo la priorità dell'invenzione. All'inizio del 1839 Talbot rese noti i suoi progressi alla Royal Society di cui era membro, e fece visita ad Herschel che a sua volta era riuscito a stampare per contatto delle immagini applicando il principio negativo-positivo e sperimentando con successo quello del fissaggio. Talbot apprese così l'uso dell'iposolfito, e involontariamente fu proprio lui a comunicarlo a Daguerre, mediante una lettera scritta al fisico francese Biot, datata 1° marzo, che lo stesso Biot fece leggere a Daguerre. Nell'autunno dello stesso anno Talbot scoprì che l'acido gallico era in grado di accelerare il processo di annerimento del cloruro d'argento, anche con esposizioni tanto brevi da non consentire la formazione diretta di un'immagine; praticamente anche questo procedimento, chiamato da lui "calotipia" e successivamente "Talbotipia", prevedeva lo sviluppo di un'immagine latente come nella dagherrotipia; egli brevettò il procedimento l'8 marzo 1841. I calotipi erano negativi, così come oggi li intendiamo, ma su carta; in seguito fu sufficiente pennellarli con cera d'api per renderli traslucidi, applicarli a contatto su un altro foglio di carta sensibilizzata e riesporli al sole sotto una lastra di vetro, ottenendo così un positivo correttamente orientato. Potremmo dire una stampa, o se si preferisce, una serie di copie. Nel 1839 anche Hippolythe Bayard, funzionario del governo francese, aveva sviluppato una tecnica fotografica su carta impregnata di alogenuri d'argento, ed anch'egli come Daguerre si era rivolto ad Arago che forse per non mettere troppa carne al fuoco gli suggerì di rimandare la divulgazione della sua invenzione. Ingenuamente Bayard accettò il consiglio ed il suo procedimento venne conosciuto solo l'anno successivo. Al contrario degli altri egli partiva da una carta totalmente annerita e l'esposizione nella camera oscura consentiva la formazione di un positivo sbiancando le parti colpite dalla luce. Le immagini di Bayard erano molto belle, ma il procedimento non ebbe mai successo perché più lento degli altri e dotato di una stabilità minore. Il resto è miglioramento tecnologico.

"You press the button, we do the rest".

L'impatto della fotografia sulla società fu enorme, tutto ciò che prima doveva essere descritto adesso poteva essere visto: si pensi ai luoghi lontani, ai monumenti, alle opere d'arte, ai fatti. Abbiamo già accennato alla possibilità di tramandare la propria immagine, si poteva portare con sé il volto dell'amata o un nudo, ma alcuni dagherrotipi documentano semplicemente un gesto, ad esempio la mano che lascia cadere un cappello sulla sedia: al di là del falso narrativo (l'istantanea non era possibile), quel fotografo aveva sintetizzato fascino e potere della fotografia isolando l'istante dal fluire del tempo.

Dagherrotipo (Anonimo)

Dagherrotipo (Anonimo)

Dagherrotipo. Anonimo. Francia. 1850 ca.
Collezione Rubel, San Francisco. Grazie a Trackrey e Robertson
Dagherrotipo. Anonimo. Stati Uniti. 1850 ca.
Collezione Rubel, San Francisco. Grazie a Trackrey e Robertson


Già nel 1852 fu pubblicato il primo fotolibro contenente 152 calotipi (stampe originali) scattati due anni prima in Egitto, Nubia, Palestina e Siria, da Maxime Du Camp e Gustave Flaubert.

Maxime du Camp

Photographic van

Maxime du Camp.
Soggetto del Medio Oriente 1849-1851.Stampa su carta salata di Blanquart-Évrad 13,6 x 21,2.
Gilman Paper Company Collection. New York.
R. Fenton. L'assistente M. Sparling a cassetta del "Photographic van" durante la guerra di Crimea.Stampa da negativo al collodio (1885)
Trustees of the science Museum. Londra.

 

Soldato confederato morto

T.H. O' Sullivan. Soldato confederato morto ( 1885)Dettaglio di una stereo vista all'albumina.
Collezione Sam Wagstaff, New York.

Nel 1855 Roger Fenton, corrispondente dell' "Illustrated London News" venne nominato dalla Regina Vittoria fotografo ufficiale della Guerra di Crimea; qualche anno dopo Timothy O'Sullivan ed Alexander Gardner seguirono la guerra di Secessione: a causa delle esposizioni troppo lunghe i primi inviati di guerra poterono ritrarre solo cose immobili, così che i campi di battaglia apparirono in tutta la loro crudeltà, non più l'immagine di eroi o le travolgenti cariche di cavalleria, ma solo uomini morti e distruzione; la guerra non fu più un'avventura, il reclutamento divenne sempre più difficile e nacque la censura. Nel 1869 Russel, Hart e Savage fotografarono la posa del bullone d'oro che univa i due tronconi della transcontinentale americana a Promontory Point e fu grazie alle fotografie di William Henry Jackson che il congresso degli Stati Uniti decretò nel 1871 la perpetua protezione di Yellowstone: per una sola fotografia aveva scalato tre volte la stessa montagna portandosi dietro una fotocamera che produceva negativi 40x50 centimetri, il cavalletto, le lastre di vetro, i prodotti chimici ed una camera oscura portatile. Nel 1888 George Eastman mise in commercio la Kodak n°1: per 25 dollari si poteva acquistare l'apparecchio, un rullo da 100 scatti ed il relativo trattamento di sviluppo e stampa; lo slogan di lancio suonava "You press the button, we do the rest".

 
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